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  • Il quesito con la Susy.

    Pensa, prima di parlare. Leggi, prima di pensare La Settimana Enigmistica, ve la ricordate? Ecco, ci vorrebbe proprio. Sì. Ma non nel senso di svago, quanto come terapia d’urto obbligatoria per tenere in allenamento la memoria. Perché ormai, tra Google e il cellulare, ci siamo giocati la capacità di ricordare anche il nostro stesso codice fiscale. E non parlo solo della memoria a breve termine—quella che ti fa tornare tre volte in casa perché hai dimenticato le chiavi—ma della memoria storica, quella che dovrebbe impedirci di ripetere gli stessi errori catastrofici del passato. E invece? Stiamo correndo a velocità folle contro un muro di mattoni. E, quel che è peggio, senza neanche aver allacciato le cinture. Non lo nego: questa cosa mi inquieta. Mi fa rimuginare. E così, scavando nei miei soliti pensieri contorti, ho cercato di capire dove si sia inceppato il meccanismo. E sapete dove sono atterrata? Sull’elefante nella stanza : la politica mondiale. "Born in the USA" Partiamo dagli Stati Uniti, che, piaccia o no, sono l’ago della bilancia globale. Gli ultimi tre mandati (Trump, Biden, Trump... perché ormai il loop è questo) hanno avuto un inquietante elemento in comune: l’età. Vecchi. Anzi, anziani. Anzi, matusalemme-level. Ora, lo so, è politicamente scorretto dirlo, ma tanto ormai la correttezza politica è una barzelletta, quindi via il cerotto: il primo ha la demenza senile, il secondo ha la demenza e basta. Uno si sente unto dal Signore, l’altro si dimentica pure dove ha lasciato il barattolo dell’unzione. E noi? Noi ce li portiamo sulle spalle, mentre ci trascinano verso il baratro con la stessa delicatezza di un elefante in un negozio di cristalli. E da noi? Stesso copione. Il povero Presidente Mattarella, che già stava pregustando una meritata pensione a base di pantofole e gite culturali, è stato risucchiato di nuovo nel vortice. Perché? Perché l’alternativa era un salto nel vuoto. Abbiamo vissuto giorni in cui non si sapeva se Draghi dovesse fare il Presidente della Repubblica o il Presidente del Consiglio. Il classico caso della coperta corta: copri una parte, scopri l’altra. E allora sorge spontanea la domanda: possibile che in un Paese di 60 milioni di abitanti l’unica scelta possibile da fare fosse tra due individui che, diciamocelo, la giovinezza l’hanno salutata da un pezzo? Certo, in alcuni casi l’esperienza è una risorsa preziosa (e Mattarella e Draghi lo dimostrano), ma il punto è un altro: dove diavolo è finito il ricambio generazionale? I 100 giorni E qui arriva la vera riflessione: il problema siamo noi. Sì, noi cinquantenni. Perché negli States, come in Italia, la classe politica che dovrebbe prendere il testimone siamo noi, no? E invece? Invece siamo ai margini. O peggio, siamo in Parlamento a scaldare sedie e a fare polemiche su borsette false, tacchi 12 e IVA sulle ostriche. Oppure, nella migliore delle ipotesi, a partecipare a improbabili feste di Capodanno con (reali) colpi in canna e a litigare tra di noi con la stessa maturità di due dodicenni su TikTok. E ogni volta che vedo i servizi sui dibattiti in Parlamento, con quei break infiniti tra una seduta e l’altra, mi torna in mente il pullman delle gite scolastiche dei 100 giorni alla maturità. Orrore. Cioè, quelli là dentro decidono anche del mio futuro, e l’unica immagine che mi rimandano è una scolaresca in gita? Davvero rassicurante. Tipo una gomitata nello sterno. E allora mi sento chiamata in causa. Perché, parliamoci chiaro: quelle cime là dentro sono miei coetanei. Avvocato del Diavolo Quindi, voglio essere buona e per un attimo far finta di dimenticare che con nessuno di loro riuscirei nemmeno a dividere un caffè al bar della stazione senza provare l’irrefrenabile impulso di fingere un’emergenza e scappare. Facciamo che mi prendo un’amnesia selettiva e provo a immaginarli da ragazzi, quando ancora litigavano con i brufoli invece che con le opposizioni, combattevano le loro piccole grandi battaglie per trovare un posto nel mondo e infilavano nel walkman la stessa musica che ascoltavo io—prima che imparassero a parlare solo in slogan. Okay, l’immagine ce l’ho. Andiamo avanti. Come ho scritto in altri articoli, la nostra generazione è quella che ha preso la scottatura più forte dal cambiamento di rotta del mondo. Siamo cresciuti nella vecchia era e diventati giovani lavoratori in quella nuova... in un lampo. Difficile adattarsi. O meglio, adattarsi ti ci adatti pure, ma farlo con coscienza? Quella è un’altra storia. Nebbia Chi tra voi ha avuto la straordinaria fortuna di sapere sin dall’asilo che sarebbe diventato medico, avvocato o ingegnere spaziale, e ha seguito quella rotta con la precisione di un GPS svizzero, può leggere le righe che seguono con la beata tranquillità di chi non è mai stato travolto dal panico esistenziale. Per tutti gli altri, quelli come me, che hanno navigato nella nebbia più fitta senza mai intravedere il faro di un destino chiaro, il discorso cambia. Perché diciamocelo: non tutti siamo nati con la vocazione scolpita nel DNA. Alcuni di noi si sono ritrovati con un lavoro per puro caso, un po’ come pescare un biglietto della lotteria senza neanche sapere di aver giocato. E la cosa assurda? Quel lavoro magari lo abbiamo pure fatto bene, lo abbiamo amato... ma non perché fosse il frutto di un percorso studiato a tavolino, tra università, master e sacrifici eroici. No, no, semplicemente ci è capitato tra le mani, come quando esci di casa per comprare il pane e torni con un cucciolo adottato. E quindi mi chiedo: quanti tra i politici coetanei si sono trovati tra le mani un mestiere che non avevano scelto? Non voglio generalizzare , ma la risposta temo sia: molti. E se io ho fatto per 23 anni un lavoro di grande responsabilità senza una laurea, impegnandomi e formandomi sul campo, la politica è tutta un’altra storia. Lì, la laurea serve eccome. Ma non solo per non collocare Times Square a Londra. Anzi, forse ne servirebbero almeno tre: una in storia per evitare di ripetere le peggiori catastrofi, una in geopolitica per non svegliarsi una mattina credendo che la Svizzera abbia il mare per conquistarne i porti, e una in economia per non pensare che stampare soldi a caso sia la soluzione a tutti i problemi. La storia si ripete Perché, diciamocelo, se non sai nulla di storia, finisci per ripetere gli errori del passato con la stessa convinzione di uno che ha appena scoperto l’acqua calda. Se ignori la geopolitica, rischi di scambiare un embargo per un piatto tipico messicano. E se non capisci nulla di economia, potresti credere che il bilancio di uno Stato funzioni come il salvadanaio a forma di maialino. Ecco, la laurea in certi casi non è solo utile… è un’assicurazione contro il ridicolo! Il problema però è che, per avere il senso del ridicolo, bisogna possedere almeno un briciolo di cultura di base … e qui siamo messi così male che il cane non solo si morde la coda, ma se la sta pure mangiando per disperazione. Santa pace! Piccola parentesi dedicata ai giovani, se mai dovessero leggermi.. Ragazzi, vi prego, studiate, apprendete, fate lavorare quei neuroni prima che si fossilizzino sui balletti di TikTok. La cultura è l’unica forma di potere che non si svaluta col tempo, non passa di moda e soprattutto non si basa sugli algoritmi di Instagram. Vi capisco, l’idea di diventare influencer sembra allettante: selfie perfetti, viaggi sponsorizzati, codici sconto per qualsiasi cosa, dalle scarpe alle vitamine per capelli… Ma davvero volete che la vostra massima eredità al mondo sia un tutorial su come mettere il mascara in tre mosse? Pensateci bene. Date retta a zia. Grazie, Prof.ss a Io ho avuto la fortuna di crescere con quattro nonni, veri e propri archivi viventi della memoria storica. Uno era stato soldato, l'altra aveva avuto il privilegio poco invidiabile di essere stata “interrogata” dai nazisti. E credetemi, dopo aver sentito i loro racconti, avevo le idee piuttosto chiare su cosa fosse stata la Seconda Guerra Mondiale —e anche su cosa significhi davvero la parola “orrore”. E poi c’era la mia Prof di lettere alle medie, la mitica Prof.ssa Scognamiglio, che decise che il modo migliore per farci entrare nell’adolescenza non fosse con qualche fiaba rassicurante, ma con “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Prima media. Undici anni. Dire che fu uno shock è un eufemismo. Ma erano altri tempi, quelli in cui la “fragilità emotiva” del fanciullo non veniva eccessivamente tutelata. Bei tempi! Perché grazie, cara Prof, se oggi ho un minimo di consapevolezza storica, lo devo anche a quelle letture che mi hanno ribaltato l’anima. Quindi cosa voglio dire? Che il problema del mondo attuale è che la gente è ciuccia e non ha mai studiato la lezione? Ah, se solo avessi una risposta! Ma il forte sospetto che molti di quelli che oggi dovrebbero guidare nazioni, prendere decisioni cruciali e tutelare gli interessi di tutti, non abbiano mai superato la fase della paginetta di aste , è piuttosto concreto. E non parlo solo dell’Italia, eh. Parlo del mondo intero. Perché l’ignoranza non è solo una brutta bestia. È una bestia feroce, famelica, e a quanto pare ha trovato terreno fertile ovunque. Ripensandoci, qui la settimana enigmistica non basta.. gitarella a Lourdes?

  • "The Villain" e l'LSD

    Beh, ecco, diciamo che il panorama internazionale della settimana passata mi ha gettato in una profonda angoscia. Ma roba che non ho dormito. Come il resto del mondo, incredula davanti alle immagini che documentavano quanto successo nello Studio Ovale. Ecco arrivata, l’ennesima scossa di un terremoto inarrestabile. Qui, tra delirio di onnipotenza, arroganza e follia, si sta giocando una partita davvero pericolosa. Forse sto guardando l’ultima stagione di "Agents of S.H.I.E.L.D.", dove i supereroi Marvel combattono l’Hydra, cioè i Fanta-nazisti? No, non riconosco gli attori. Quindi è tutto vero. Giorni di riflessioni, abitati da una varietà di emozioni tutte convergenti in 50.000 sfumature di ansia. Video allucinogeno Poi stamattina mi sono imbattuta in un video. Un video che parlava di LSD, MDMA e altre sostanze psichedeliche utilizzate per combattere ansia e depressione. Ah, ecco, dopo la settimana appena trascorsa, direi che l’unica cosa che ci può salvare è l’LSD!! Pare ci sia una società di Psicologi e Psichiatri che regola protocolli terapeutici e studia l’efficacia di queste terapie. Dicono, sempre loro, che sono tra le più efficaci. Ma, mi chiedo, siamo davvero arrivati al punto in cui la “pillola della felicità” deve prevedere anche un viaggio interstellare tra arcobaleni e unicorni filosofici? È come se avessimo deciso che, per affrontare la vita, abbiamo bisogno di una dose di fantascienza! Dal video emerge che, attraverso un “setting terapeutico” – così lo chiamano – l’alienazione dalla realtà genera un senso di benessere capace di essere riportato nella quotidianità, se ovviamente condotto con l’aiuto di un terapeuta. Cosa che, dicono loro, con dei semplici ansiolitici non è possibile fare. Quindi, che vuol dire? Che a breve andremo in farmacia dicendo: “Allora, aspirina, fermenti lattici e LSD, grazie.” “Certo, signora. Ne vuole uno con aroma di fragola?” Sono l'unica a pensare che questa cosa è , come minimo, bizzarra? Perché a questo punto non aggiungere un po’ di glitter e qualche paillettes mentre ci siamo? Oddio, a pensarci, forse l’idea non è poi così folle, considerando quello che vediamo ogni giorno al telegiornale. Comunque, riflettendoci, qui siamo davvero dentro un fumetto di fantascienza. Ho aperto questo blog per cercare di rimanere in equilibrio su questo tagadà cosmico , e appena riesco a stare in piedi due minuti senza cadere, BAM! Arriva un’altra batosta! Siamo la specie più evoluta, capace di arrivare sulla Luna e, a breve, anche su Marte (almeno così dice “The Villain”, alias Ciuffone Biondo ). Abbiamo intelligenza artificiale, internet, macchine che guidano da sole, Alexa che ci chiede se abbiamo fatto colazione e ci dà pure un bacetto sulla fronte ogni mattina… e per sopravvivere a tutto questo dobbiamo drogarci come a un festino rock negli anni '60? C’è qualcosa che non quadra. Cioè, davvero. Per riuscire a vivere sereni dobbiamo estraniarci dalla realtà? La situazione inizia a sfuggirci di mano... "Truman Show" Gia' mi immagino il restyling cittadino: ristoranti, bar, palestre solo per chi assume psichedelici. Dove tutti sorridono, dove tutti sono gentili, perfetti come la famiglia del Mulino Bianco. Visualizzo questa fanta-città in cui le persone si incontrano per discutere delle loro esperienze psichedeliche come fossero eventi sociali “Ciao, come è andato il tuo viaggio lunedì?” “Oh, magnifico! Ho parlato con un unicorno e abbiamo discusso di filosofia!” E che dire delle code in farmacia? “Sì, mi scusi, vorrei un cocktail psichedelico per affrontare la mia giornata!” Ma a questo punto, la vera domanda è: stiamo davvero cercando di “curare” l’ansia con una sostanza che ci porta su un pianeta lontano, o stiamo semplicemente cercando di fuggire dalla realtà? Non è un po’ come mettere una benda sugli occhi e sperare che il mondo diventi un posto migliore? O peggio ancora, fare finta che non sia un nostro problema, chiudere gli occhi, incrociare le dita e aspettare che qualcuno – magari un supereroe con il mantello – venga a sistemare tutto al posto nostro? Perché ammettiamolo: se il mondo è impazzito, mica possiamo risolverlo con un trip a base di allucinogeni. E nemmeno con la tecnica dello struzzo. E' sempre questione di "chimica." Diciamocelo: non è normale dover ricorrere a sostanze chimiche per sopravvivere alla....vita. Se il lunedì mattina ci fa venire voglia di teletrasportarci su un altro pianeta, forse il problema non è il lunedì, ma il fatto che ci siamo costruiti un sistema che ci schiaccia e ci fa sentire alieni anche senza bisogno di LSD. E allora, invece di aggiungere effetti speciali alla realtà, non sarebbe il caso di provare a cambiarla? Voglio dire, noi adolescenti degli anni '80 siamo sopravvissuti alle spalline esagerate, ai capelli gonfi che sfidavano la legge di gravità e ai jeans 501 con orli improbabili che ci facevano camminare come pinguini… possibile che non riusciamo a sopravvivere senza funghetti in questo pazzo mondo che ci ritroviamo? Abbiamo resistito al Tamagotchi che moriva ogni tre ore, ai modem 56k che facevano più rumore di un trattore e persino alla moda dei fuseaux fluorescenti. Abbiamo affrontato il trauma delle videocassette smagnetizzate, il terrore di registrare sopra il nastro delle vacanze con una puntata di "Non è la Rai", e l’orrore dei maglioni di lana che pizzicavano come carta vetrata. E adesso, invece di rimboccarci le maniche e affrontare la realtà, ci vogliono vendere il biglietto per un’odissea psichedelica? Ma dai! Se ce l’abbiamo fatta allora, possiamo farcela anche adesso. Senza bisogno di arcobaleni chimici.

  • Ansia e Wi-Fi, nuotare nel manicomio globale.

    Ragazzi, ieri è stata una di quelle giornate in cui la vita ti tira un calcio in faccia mentre ti dice: "Buongiorno, benvenuto nel caos universale". Mi è venuto il famoso mammatrone* cosmico – sì, quello che ti fa pensare che l'unica via di fuga sia essere teletrasportati su....boh non so, anche Marte ormai è troppo trafficata.. Vabbè, andiamo avanti. Ho guardato una serie di eventi che avevano in comune solo una cosa: farmi sentire come se stessi vivendo in una versione distorta di " Alice nel Paese delle Meraviglie" . Da Sanremo al feed di Ics (scusate non riesco a dirlo, per me sarà sempre Twitter), fino a Netflix, ogni singola cosa mi ha regalato il “luxury” di un’ansia che non finiva mai. Countdown dell'ansia : 1) Sanremo e il tempo che non esiste più Durante il servizio su Sanremo, Jovanotti ci ha ricordato che su Spotify escono in un solo giorno tante canzoni quante ne uscivano in un decennio negli anni ’90. Se questo è il nuovo modo di misurare il tempo, dovrei essere tipo morta già da sei/sette anni.... Ma come si può reggere questo passo?? Ecco, mi si è chiusa la busta di plastica in faccia. Ansia. 2) C'è Tweet e tweet Ripeto, non riesco a pronunciare, o scrivere, il nuovo nome di Twitter. E comunque sia la nuova icona mi ricorda il logo di Taffo. La definirei......respingente? E sono molto politically correct. Brava me. Continua polite. Dicevo. Ho deciso di aprirne il feed. Ma che mi ha detto la testa? E' stato come correre incontro alla facciata di un autobus. Delizioso. Conato numero uno : Commenti infiniti di Musk, Trump e l'allegra combriccola. Mio Dio. Respira, continua. Conato numero due : Mille cazzate, al solito, sostenute dai nostri politici. Convulsioni ai limiti dell'epilessia : Due post mi hanno fatto uscire fuori di testa, me l'hanno fatta roteare a 360° come Linda Blair. Anche adesso, mentre scrivo, mi si stanno rizzando i capelli in testa di nuovo. Però dato che l'argomento di quei post, tocca in me corde molto sensibili, ne parlerò in un altro articolo. Forse. Dopo aver bevuto 6/7/8/12 bottiglie di Campari. Senza ghiaccio. A stomaco vuoto. Dopo una notte insonne. Così sono sicura di riuscire ad essere un filo più morbida. Poco. Meglio di niente. Quindi stizzita, per non dire proprio incazzata, chiudo. Dicendo a me stessa, la prossima volta che decidi di aprire quel coso ti butto di sotto. Respira. Esci, fai una passeggiata con i cani, fuma, non so fai qualcosa per toglierti la rabbia l’ansia e le mille riflessioni che ti porti dietro. Fatto tutto. Ma niente l’ansia rimane.  La terapia dei piccoli piaceri (o, perché no, dei pupazzi disegnati) Poi però ho preso in mano la situazione ho iniziato a disegnare. Carini questi pupazzi che sto facendo. Mi garbano assai. Mi sento meglio, mi fanno sorridere. Si distende la faccia, mi distendo io. Mi viene anche qualche nuova idea per il lavoro. L'arte e i suoi infiniti rimedi per rimetterti "a piombo" con l'Universo. Passano le ore. Ottimo, direi che ora mi sono meritata un po' di sano ozio sul divano – il mio trono per il relax assoluto, dove il mondo esterno si dissolve e l'unico impegno è quello di non muoversi (almeno fino al prossimo episodio). Ne approfitto per continuare a seguire questa nuova serie su Netflix, che va vista attentamente senza perderti neanche un fotogramma, tanta la roba che succede. 3)Netflix e l’epopea di  Zero Day Ed eccoci qui. Io , Netflix e Zero Day . Robert De Niro, in una performance così impeccabile che se dicesse "vado a fare la cacca" suonerebbe come una massima di saggezza esistenziale. Comunque, a parte il cast stellare e la trama ben congegnata, questa serie ti spalanca una finestra sulla politica con la stessa grazia con cui una tromba d’aria spalanca la porta di casa: ti ritrovi risucchiato dentro senza nemmeno accorgertene. E lì, signori miei, l’ansia è partita con la velocità di un bolide di F1, con l’unica differenza che in questo caso il traguardo è direttamente un attacco di panico. Sì, certo, lo so che è finzione, che i concetti devono essere esasperati per tenere alta la tensione. Però, il punto non è la serie in sé. Il punto è che non è possibile che, ogni volta che virtualmente metto il naso fuori di casa, venga colta da un’angoscia esistenziale degna di una crisi mistica. E allora il cervello, con il suo spirito di sopravvivenza, parte con il piano B: la fuga. Dove? Non si sa. Ma il solo pensiero di un altrove più tranquillo dovrebbe bastare a placare l’ansia, no? Peccato che --non esiste più neanche il miraggio!-- Neanche l’illusione di un posto che sia un filo meno delirante. È ufficiale: il mondo intero è andato in vacca. E qui arriva la vera tragedia: 'sti qui non mi hanno solo rovinato Twitter, mi hanno rovinato anche il modo in cui sognavo l'America! Quella mitologica terra promessa, dove tutti vivono in villette con giardino e risolvono i problemi con un abbraccio e una battuta ben piazzata, proprio come nelle sit-com che ci hanno cresciuti! Questa è l’ultima coltellata al cuore della mia infanzia. Ma siete dei maledetti! Non si fa.. Mi sento tanto Mafalda con il suo mappamondo.... Conclusione: l’ironia come antidoto Insomma, ieri mi sono trovata un po' impreparata a gestire le emozioni prodotte da..... banali gesti quotidiani tra l'altro! Però ci ho riflettuto su. E in una cosa credo fermamente : In un mondo gestito da pazzi, dove l'assurdo è ormai la normalità e ogni notizia sembra una puntata di una serie scritta sotto l’effetto di sostanze discutibili, l’ironia resta il nostro antidoto più potente. Non risolve i problemi, certo, ma aiuta a non finirci dentro con tutte le scarpe. È come un ombrello in una tempesta: non ferma il diluvio, ma almeno mantiene la messa in piega. E allora, mentre il caos là fuori si agita come un DJ accanito sul mixer , abbiamo il dovere di coltivare il nostro piccolo angolo di sanità mentale. Che sia un hobby, un’ossessione inspiegabile per i documentari sui crimini irrisolti, o semplicemente il divano e un bicchiere con qualcosa di forte, dobbiamo proteggerlo con le unghie e con i denti. (Oddio mi sono resa conto che io sono tutte queste cose appena dette..) Perché magari, tra un'osservazione pungente e un meme illuminante, qualcuno di noi riuscirà perfino a trasformare questo delirio globale in una storia esilarante da mettere nero su bianco. Anzi, già succede. Basta affinare un po’ lo sguardo e accorgersi che il mondo è una sceneggiatura surreale in attesa di essere raccontata. Perché alla fine, se non possiamo cambiare il mondo, possiamo almeno prenderlo in giro. ** dialetto romanesco per indicare dispiacere, angoscia

  • Com'è che cantava la Pausini? La solitudine na na

    Fuffa Vagando per il web, tra una notizia e l'altra, mi sono imbattuta in un articolo che parlava delle truffe sentimentali. Una novità, eh? No, direi che è una storia vecchia quanto il mondo, ma oggi, grazie alla miriade di opportunità che il web ci regala, l’"ars" della truffa ha raggiunto nuove vette . Insomma, la rete è diventata più grande e il pesce da pescare più abbondante—pesci grandi, pesci piccoli, gatti, cani… chiunque! Tuttavia, non è di questo che voglio parlare. No, il vero motivo per cui ho letto tutto l'articolo con aria pensierosa è un altro. Cosa spinge una persona a farsi manipolare così tanto da decidere di regalare soldi, gioielli, vacanze in Sardegna o, peggio ancora, condividere i propri dati bancari? La solitudine. Ah, la solitudine. "Dottor Capiscione" A detta di non so quale Dottor Cervellone Americano, tanto per tranquillizzare gli animi, la solitudine determinerebbe un aumento degli infarti, dell’insonnia, dell’obesità, della depressione, del diabete e altri disturbi della salute tali da aumentare il rischio di una morte prematura.  Solo? Io aggiungerei anche la crisi climatica, la fame nel mondo, il Covid, e la guerra in Ucraina. Ma non staremo un po' esagerando? Perché se una persona single legge un articolo del genere, è probabile che si iscriva subito a Tinder, Badoo e a tutte quelle app di incontri, alla ricerca disperata di un compagno, giusto per evitare di diventare un obeso insonne e scampare così a una morte prematura! Scusi Dottore, mi chiarisce meglio il suo concetto di solitudine per favore? Confusione Il Dottore ci lascia un po’ nel buio(almeno nell'articolo che ho letto io). Perché, ok, solitudine, ma quale? Persone sole al mondo? Orfane, senza parenti, amici, compagni e una pianta da annaffiare? Oppure persone che si sentono sole pur essendo circondate da affetti? E che dire di chi ha quel vuoto interiore che nemmeno uno shopping a Miami riesce a colmare? Dottore, verbalizzi meglio , per favore. Io, ad esempio, sono single, ma non sono sola. No, non lo sono. Ho una famiglia fantastica e amici straordinari che sono sempre lì, pronti a darmi una mano quando ho bisogno... o a imbavagliarmi quando mi si accende la miccia! Ma non ho un compagno. Infatti sono ciò che si definisce , essere Single. Perchè non hai un compagno? Non ho un compagno perchè… lo ammetto..... proprio non ce la faccio! È superiore alle mie capacità. Troppe energie da investire, troppa fatica, troppo impegno. Onestamente, non ce la farei nemmeno se provassi con il massimo della buona volontà. E poi, preferisco dedicare tutte le mie risorse a  costruirmi  -che richiede tanto impegno, tanto sforzo etc etc lo stesso, ma è per me stessa.....ognuno ha le sue priorità nella vita, no? E le mie priorità al momento non includono condivisione di pantofole e film romantici, ma piuttosto obiettivi professionali e qualche bicchiere di vino in solitaria. Per carità essere "soli" non è che sia come fare una passeggiata in un campo di margherite (che in teoria sarebbe un po’ più rilassante), ma è una scelta ben ponderata. Comunque, vivo da sola ma non sono sola. (e non parlo solo dei miei cani!) Com'è vivere da soli? Vivere da soli è una vera  risorsa , altro che tragedia greca! Piuttosto che temere la solitudine, dovremmo abbracciarla come una specie di terapia intensiva per la crescita personale. Perché sì, vivere in solitudine ti costringe, senza alcuna scusa, a fare delle riflessioni costanti. È un po’ come avere un coach interiore che ti martella a tutte le ore del giorno e della notte, chiedendoti: "Ehi, ma che diavolo stai facendo della tua vita?". E non puoi nemmeno rispondere con un "Ma che ne vuoi sapere tu?", perché  lui  è...TE! E se sei fortunato, potresti anche arrivare a conoscere la profondità della tua anima, ma, spoiler alert: non è sempre bello. Ogni tanto ti guarda e ti dice: "Guarda che qui c'è lavoro da fare, eh!". Auto-riflessione E poi, come dire, l’auto-riflessione è diventata il mio sport preferito. Chi ha bisogno di un partner quando puoi passare ore a parlare con te stesso sul senso della vita, sulla politica mondiale, su come riuscire a piegare un lenzuolo senza sembrare la brutta copia dell'orso Yoghi? E, fidatevi, nessuna relazione romantica o sociale ti mette di fronte a te stesso come una serata solitaria sul divano. Dove, tra l’altro, il divano è l’unico che non ti tradisce mai. Anzi, lo puoi anche buttare in lavatrice se si sporca. Vivere da soli ti permette di crescere in maniera  spietata . Non puoi nasconderti dietro la scusa di “Ah, non avevo tempo” o “Eh, ma lui/lei voleva fare altro”. Sei tu e basta. Ti abitui a risolvere i tuoi problemi da solo, a essere il tuo eroe, la tua spalla , il tuo risveglio alle sei di mattina per fare yoga (o, meglio, per rimandarlo di giorno in giorno, ma che importa?). È come essere una specie di  supereroe del quotidiano. In definitiva, vivere da soli non è la fine del mondo. È una risorsa. Una risorsa potente che ti permette di conoscere te stesso meglio di quanto tu possa immaginare. E, se alla fine della giornata non ti senti ancora troppo illuminato, puoi sempre alzare il telefono e fare due chiacchiere con un amico per avere un confronto esterno. Alla fine la tecnologia esiste, usiamola in maniera positiva no? Alienazione Ma tornando al Dottore, continuando a leggere l'articolo a un certo punto parla dell'isolamento dovuto alle ore trascorse sul web. Quindi, mi vien da pensare, che forse si riferisce all' alienazione: quella che ci colpisce dopo aver passato ore e ore online. E certo, quella è un’altra storia. L’isolamento causato dai social, dalle app, e dalle infinite ore davanti al computer è un fenomeno preoccupante. Un fenomeno che colpisce non solo i giovani, ma pure i cinquantenni, come direbbe lui (se lo avessimo mai visto dal vivo). E allora ecco che, stando sempre al "suo" studio, gli americani passano ben 24 ore al mese in più (ma in più rispetto a quando?) da soli, e 10 ore in meno con gli amici (in meno rispetto a quando ? Quando avevamo 15 anni?). E la colpa sarebbe delle consegne a domicilio! Si perchè, cito testualmente, questi cambiamenti, uniti all’afflusso di consegne a domicilio e ad altri cambiamenti limitano le interazioni personali lasciando le persone disconnesse dalla rete sociale . Ma forse quello che intende è che la disconnessione dalle relazioni sociali possa portare a sentimenti di solitudine? Anche in questo caso, però, i sentimenti di solitudine non sono  la  solitudine. In poche parole, credo ci siano talmente tante sfumature in questa benedetta solitudine che fare l’elenco delle malattie più lungo della lista dei DRG, con la ciliegina sulla torta di un bel 30% in più di rischio di morte prematura, mi pare un po' eccessivo. Mi sta venendo voglia di scrivere una mail a questo "Dottor Ottimismo" per chiedere lumi. Tornando alla "disconnessione". Io non so i cinquantenni americani come se la passino, però posso dire che se questa statistica è stata fatta su una fascia di età media, la “disconnessione” dalla rete sociale è dovuta in gran parte all’età!! Riflessione personale Facciamo una piccola riflessione personale. A 45 anni, ho cominciato a dare una bella scrematura agli eventi sociali. Da persona sempre in movimento tra aperitivi, cene e week-end fuori porta, ho deciso che era il momento di rallentare. La vita diventa più una maratona che una gita avventurosa, e dopo una lunga giornata lavorativa, il divano, un buon bicchiere di vino e magari qualche amico (magari no, anche solo un po' di tranquillità) diventano il massimo che si può desiderare. Perché? Perché ho delle priorità. E se il giorno dopo ho una riunione importante , la sera prima credo sia meglio non fare le ore piccole scolando la bottiglia. Non credo che questa sia alienazione, credo sia solo il mio naturale processo di "invecchiamento". Ma, se il Dottor "Verbalizzimeglio" insiste che la solitudine è così pericolosa, allora credo sia arrivato il momento di organizzare una serie di eventi sociali, tipo una maratona di aperitivi obbligatori per "salvarci" dalla malattia della solitudine. Fate pure. Nel frattempo, io mi accontento di essere single, ma non sola , con una buona dose di ironia che ormai è diventata la mia armatura per affrontare la vita. Perché, diciamocelo, la solitudine fa paura solo se non hai imparato a divertirti con te stesso. E io, fidatevi, sono una compagna di conversazione spettacolare. Un po’ di sarcasmo e un bicchiere di vino, e la solitudine diventa l'ospite più interessante della serata. Sicuro al limone. Nessun compromesso E nel frattempo, mi godo il lusso di avere una vita priva di compromessi. Quando vuoi mangiare un gelato alle 3 del mattino, chi ti ferma? Nessuno. Quando ti scatta la voglia di fare una maratona di serie TV così brutta, che neanche la mamma del regista avrebbe il coraggio di guardare, chi può dirti qualcosa? Nessuno. Quando ti svegli con un nuovo progetto che  devi  assolutamente portare avanti, tipo decidere di scrivere un libro su come sopravvivere al campanello del vicino o aprire un business di piante grasse (che, diciamocelo, sono  super  cool), chi ti dice: "Eh, ma non era meglio se ci avevi pensato prima?" Nessuno. Perché, quando sei solo, nessuno può dirti che hai perso tempo , che è troppo tardi, che forse dovresti riposarti invece di progettare una rivoluzione personale. E se qualcuno lo fa, beh, la risposta è semplice: "Oh, scusa, ma io stavo solo cercando di evitare la crisi esistenziale del lunedì mattina. Grazie per il consiglio!" Io e la mia solitudine siamo praticamente una squadra imbattibile. Ogni volta che il mondo mi guarda e pensa "ma chi è quella che sta parlando da sola con la pianta di basilico?" io rispondo: "Siamo in riunione strategica. Non disturbarci." Perché non c'è niente di più potente che poter contare su se stessi per decidere se fare il primo passo verso il successo o semplicemente prendere un altro caffè per procrastinare in pace. E la solitudine? È la mia alleata segreta. Non mi giudica mai, non mi mette pressione e, soprattutto, non mi chiede di uscire ogni weekend a "socializzare". Insomma, io mi sento lontana da quanto dice il "Dottor Catastrofeimminente"...voi?

  • Intelligenza o....deficienza artificiale?

    Pensieri random... Dunque. Non solo non si riesce a stare al passo con questa trottola impazzita che è diventato il mondo… ma ora, per dare una bella spinta all’acceleratore, ci mancava proprio l’intelligenza artificiale. L’AI. Eh già, ora siamo tutti in balia di una macchina che sa tutto di noi, ma non sa nemmeno come fermarsi davanti a un incrocio. Come mi pongo di fronte a questo fenomeno? Non lo so. Sinceramente non lo so. Pro e contro Ho iniziato ad analizzare la situazione, cercando di separare i pro dai contro… ma credo che la lista sia ben lontana dall’essere finita. . Un po’ come quando inizi a fare le pulizie di primavera e ti ritrovi a spostare un armadio e a scoprire un’intera collezione di calzini spaiati che ti chiedi da dove cavolo sono arrivati. Ma torniamo a noi. L’AI. Sì, indubbiamente è un’innovazione importante, e come tutte le innovazioni, va “digerita”. E la digestione, si sa, non è mai una passeggiata. Quindi. Pro: Aiuta i flussi di lavoro, risponde a tutto, è a portata di click, è più facile da usare di un selfie stick in mano a un turista giapponese. E ti fa risparmiare un sacco di tempo. E soprattutto, è simpatica. Fa battute, ti dice cose magnifiche, fa aumentare il tuo ego a livelli altissimi. Ma poi? Non so, forse sono solo un po’ ottusa. Ma al momento, è tutto ciò che vedo. Contro:   Uhhhhhhh . Da dove cominciare? Ma come diceva la mia prof di Lettere al liceo: “Inizia a scrivere, poi finisci.” Oh, che saggezza! Ecco la nostra AI! Tra le righe appariva la scritta al neon «ragiona!» Ah, bei tempi. Prof, la seguo alla lettera e inizio a scrivere. Fermiamoci Piccolo pensiero che mi tormenta. Lo scorso anno, ci fu una notizia che, stranamente, non suscitò un’enorme eco, ma che a me colpì profondamente. Elon Musk, l'essere più inquietante sulla terra , disse che sarebbe stato il caso di fermarsi un momento con l’AI.  Elon Musk , l’uomo che sembra uscito da un fumetto distopico degli anni '60 , che ti guarda da lontano con quella faccia 3d inespressiva. Elon Musk ha detto “Fermiamoci”. Pensateci un attimo: Musk ha detto di fermarsi. Sarà perchè sono un tipo che con la fantasia ci lavora, ma sono fermamente convinta che lui abbia 11 cloni di se stesso congelati in garage. E li manderà a dirigere su Marte i complessi residenziali con villette a schiera che sta costruendo. Tipo Milano 2 Marziana, per intenderci. Forse il Clone numero 5 gli ha chiesto di portare anche un McDonald’s su Marte e lui ha detto basta, fermiamoci. Chissà, la verità non la sapremo mai, ma possiamo immaginarla. E comunque, qualunque cosa sia successa, non è proprio la miglior notizia per i nostri sonni tranquilli. (Con tutto il rispetto per il Clone numero 5, che deve essere davvero un lavoro difficile.) Eeeesagerata..... Ma dai! Non starai esagerando? Magari sì. Forse il problema è che il concetto di intelligenza artificiale mi mette un po’ paura. Però, dai, voglio essere ottimista. Voglio sperare che tutte le persone che usano l’AI siano responsabili e la trattino con la cautela che merita, come se fosse il collega cervellone a cui chiedere consiglio. Ottimista, eh? Sì, sto ancora cercando di convincermi. La realtà, però, è che chi sta dietro a questa tecnologia appartiene a una generazione che ha usato il proprio cervello per arrivare dove sono, quindi sanno ancora distinguere cosa tenere e cosa scartare. Ma il vero problema arriva quando lasciamo che sia un software a fare il ragionamento per noi. Lo vedo già: generazioni future incapaci di decidere cosa ordinare al ristornate. Perchè diciamocelo chiaro , quanti di voi ricordano un numero di telefono a memoria? Da quando c'è la Rubrica del cellulare, ma chi li digita più! Io, ricordo solo il numero di casa delle amiche di liceo… per tutte quelle volte che l’ho digitato fino a sfinirmi. E vogliamo parlare del navigatore? La percezione di angoscia provata perchè si è nel mezzo del nulla con il navigatore fuori uso, è ben descritta nel Film "Il mondo dietro di te". Se non l'avete visto, fatelo. Ovviamente, neanche a dirlo, attori, regista, sceneggiatori...tutti nostri coetanei. Ah, tra i produttori figurano anche Michelle e Barak Obama..così, tanto per dire... Tranquilli Allora, mi chiedo: stiamo costruendo un mondo di “cretini”? No, no, scusate, volevo dire  di deficienti artificiali ! Ma, dai, alla fine siamo esseri umani. Abbiamo sempre trovato il modo di risolvere i problemi, anche quelli più assurdi. Quindi, perché non introdurre tra le materie scolastiche “Gestire l’AI senza perdere il cervello” o “Come insegnare all’AI a dare la zampa, cuccia, seduta, resta”? È un’idea, no? Per ora, però, quello che vedo è che stanno nascendo nuove figure professionali, pronte a “gestire” l’AI. Ma che meraviglia, no? La soluzione a tutto sembra essere quella di mettere su delle “carriere” che, sostanzialmente, consistono nel controllare che l’AI non faccia cazzate. Ed ecco che, improvvisamente, esistono esperti in “gestione dell’Intelligenza Artificiale” (io li chiamerei "il baby-sitter del futuro digitale"). I nuovi professionisti del mondo 2.0, capaci di interpretare il linguaggio misterioso degli algoritmi, che hanno il potere di risolvere i problemi che abbiamo creato noi stessi, come se fosse un gioco di Tetris in cui dobbiamo sistemare i pezzi prima che tutto collassi. Quindi, forse, la generazione che segue la nostra è ancora salva. Almeno per ora. Ma, attenzione, non è che possiamo rilassarci troppo. Perché, chissà, magari fra qualche anno si scopre che questi esperti di AI si stanno preparando a un corso di aggiornamento dal titolo: “Come insegnare a un algoritmo a non diventare il tuo capo”. E se questa generazione continuerà a fare il suo lavoro, magari decideranno di affittare dei cervelli per una lezione intensiva di sopravvivenza digitale. Perché a questo punto, con tutto il rispetto per gli algoritmi, la vera sfida non sarà più capire come usare l'AI, ma come non diventare dei zombie digitali privi di cervello, in balia dei nostri stessi strumenti. Buonsenso In conclusione, la domanda rimane:  Ne sentivamo davvero il bisogno?   In un mondo che gioca a Risiko e rischia di distruggersi da solo, non sarebbe stato meglio fermarci un attimo? Giusto un millisecondo di pausa per respirare e pensare: "Aspetta, ma questo cos’è? Un passo in avanti per l'umanità o una freccia scagliata nel buio?" Perché, vedete, l’AI è fantastica quando ti fa scrivere il piano per il futuro in un battito di ciglia, ma quando si tratta di gestire un po' di buonsenso... ecco, non so se riesca a tenere il passo. Quindi, forse ci servirebbe davvero più di un solo secondo per riflettere e capire se abbiamo davvero bisogno di un altro software che ci dica cosa fare dopo averci detto cosa fare. Non sarebbe meglio una buona vecchia chiacchierata con il vicino, piuttosto che un algoritmo che ti dice come fare amicizia? A pensarci bene, per la "crescita personale", mi bastava già l'angolo dell'ascensore. Si.

  • Cinquant'anni nel 2025. Ma chi?

    Ciao, benvenuti. Sono Michela, detta Ferrovia ( si, esatto Ferrovia. E' il mio terzo nome all'anagrafe. Lunga storia. Magari ve ne parlerò..) Ciao ! Benvenuti nel mio angolo di caos creativo, dove il sarcasmo è la mia seconda lingua e le riflessioni sulla vita quotidiana sono il mio pane quotidiano. Mi chiamo Michela, e sì, sono una cinquantenne. Giuro che non mi è ancora chiaro come sia successo , eppure eccomi qui, tra rughe e “accidenti, ma avevo già quarant’anni ieri!” con quella sensazione di essere una ventenne intrappolata in un corpo che, ogni tanto, fa un po’ i capricci. Sono grafica e illustratrice, e passo le giornate a trasformare idee in immagini, ma nella mia testa è un po’ come se ci fosse una riunione in corso, con pensieri che saltano da un argomento all’altro senza un’apparente logica. Ho pensato: perché non mettere tutto questo in un blog? Un posto dove chi, come me, si ritrova a fare i conti con la metà di una vita che sembra passata troppo in fretta, possa ridere un po' di sé stesso, riflettere senza prendersi troppo sul serio, e magari scoprire che siamo tutti un po’ più simili di quanto pensiamo.. Infatti da qui l'idea di creare una "piazza" virtuale dove poterci parlare liberamente. Anche perchè ormai le piazze reali non esistono neanche più. O meglio, loro esisteranno ancora poverette. E' che non sono più frequentate come si usava un tempo. Con il bar principale , dove fermarsi a scambiare due chiacchiere e prendersi un caffè con un amico. Senza programmarlo, anzi schedularlo come dicono adesso, come si programma il lancio dello shuttle da Cape Canaveral intendo. Ma a noi che importa? Volendo ce la creiamo noi la piazzetta accogliente in cui prendere il caffè. Ecco, magari non garantisco sulla qualità del caffè* ...ma garantisco sulla quantità di chiacchiere. Si questo si. Quindi, se anche tu sei nella fase della vita in cui ti guardi allo specchio e ti chiedi “ma quando è successo tutto questo?”, beh, sei nel posto giusto! ** Non garantisco, perchè a Natale o a Pasqua, quando c'è tutta la famiglia riunita, se mi alzo dicendo " Bene, chi vuole il caffè che lo preparo?" urlano all'unisono "NO! No, stai cara, ci pensiamo noi.." Da qui deduco che il mio caffè non sia così buono come penso....

  • La matta del quartiere, e il suo metodo di "Educazione" imprevista.

    Ebbene sì, lo ammetto: sono una brutta persona. Ma si sa, la gente ha sempre qualcosa da dire su chi non ama i bambini. È un po' come dire che non ti piacciono i gatti: sei subito bollato come un mostro. Ma aspettate un attimo:  a me non è che non piacciano proprio tutti i bambini , ok? Quelli che sono davvero brillanti e magari anche belli,(tipo mio nipote James, che è sia bello che intelligente - e si merita tutti i Bumblebee che riesco a trovare -)beh, quelli sì, mi piacciono. Gli altri... mahhh, ci sono giorni in cui guardo un bambino e mi chiedo se sia stato abbandonato lì da qualche invasore alieno. Figli? No, grazie. Io non ho figli. Non ho mai pensato di averne, anzi, per me l’idea di diventare madre è come quella di ricevere l’eredità di uno zio americano mai visto: un pensiero totalmente impensabile. Ah, scusate, piccola digressione! Devo raccontarvi una cosa che mi è successa (tanti) anni fa, proprio dopo aver dichiarato di non aver figli. Ero a Boston, Gennaio, -10 gradi, neve. Io, seduta su una panchina, ad aspettare le mie amiche che avevano deciso di entrare da Abercrombie (sì, ho preferito il gelido assideramento piuttosto che rimettere piede in quel girone infernale). Comunque, mentre mi congelo, sento uno sguardo. Mi giro e, a qualche metro di distanza, c'era un barbone/drogato/ubriaco che mi sorrideva. Mi urla: "Posso farti un ritratto?" Annuisco, sapendo che il fine era racimolare qualche dollaro. Dopo un paio di minuti, arriva da me e mi mostra questo foglio con uno scarabocchio che somigliava a una faccia in stile "Picasso": un occhio sopra, uno sotto, naso a punta... e lentiggini! Lentiggini! Come le aveva notate da quella distanza è uno dei misteri della fede. Lui si avvicina, tutto contento, io gli do un dollaro e, senza che me ne accorgessi, divento parte di una conversazione surreale. A un certo punto mi chiede: "Hai figli?" e io: "No." E lui, con un sorriso da manuale, risponde: "Ah, ecco perché sei così bella! Non hai figli!" Ebbene si, l'uomo più strafatto sulla terra, mi aveva regalato un'immensa perla di saggezza! Tornando a noi. Dicevo. Non ho mai preso in considerazione l'idea di averne. Eppure...ho i cani.  Alt! Non sto dicendo che i cani sono come i bambini. Non fraintendetemi. Per carità, ho 50 anni, ma non ho la mente contorta di chi sostituisce figli mancanti con cani o gatti. No, il discorso è un altro. Avere un cane vuol dire sapere cosa comporta: amore incondizionato per un esserino fragile e indifeso, una protezione che non ha limiti, pazienza, rinunce (che però non sento come sacrifici, ma come parte del gioco), principi di educazione, buoni esempi… insomma, a occhio e croce, non mi sembra così diverso da quello che fa un genitore. Puppies Ma con un  cucciolo umano ? Oh no. Non ce la faccio. Quando mi capita di incrociare un bambino, la mia prima reazione è cercare la via di fuga. La porta di emergenza, la finestra, l’apertura sul tetto, un’altra via di fuga...  praticamente mi sento un agente segreto durante una missione ad alta tensione . Scappare! Evitare il contatto! Ma ho deciso di non farmi condizionare da questi impulsi primordiali. Ho pensato:  Va bene, non li devo per forza adorare. Però posso provare a renderli un po' più tollerabili, magari anche educarli. Chissà, potrei essere una missionaria della civiltà . E qui inizia il mio personalissimo programma di RI-educazione . Quando vivevo a Roma, la pista ciclabile vicino casa si era trasformata nel mio campo di battaglia quotidiano. Ogni giorno incontravo una vera e propria armata di 1.546 bambini (perché sembra che ce ne siano sempre troppi, vero?). E io, diventata ormai una leggenda del quartiere, mi divertivo un mondo a disciplinarli. Alcuni mi temevano, altri mi adoravano, alcuni forse anche per via dei cani.  Facciamo che avevano capito chi era il capobranco, va’ , mi piace di più pensarla così. E io invece, avevo realizzato, che il problema principale non è tanto che i bambini siano fastidiosi, ma che  manca totalmente il concetto di educazione . E no, non sto parlando di "non mettere i piedi sul tavolo". Sto parlando della definizione sul Vocabolario di Educazione. Ossia : metodico conferimento o apprendimento di principi intellettuali e morali, validi a determinati fini, in accordo con le esigenze dell’individuo e della società. Tanta roba. E noi ce la siamo un po' persa per strada.. Qual è il mio metodo, vi starete chiedendo? Semplice. La mossa da maestro :  “Come ti chiami?” Ogni bambino che mi trovo davanti, generalmente, sta facendo una delle seguenti cose: piagnucola senza motivo, urla come un ossesso, lancia oggetti o ti passa sopra con la bicicletta senza nemmeno salutare. A questo punto è il momento di entrare in scena. La mia arma segreta? Un tono deciso, da comandante in capo. La domanda cruciale è: “Come ti chiami?” E lì, lì signori miei, li hai in pugno. Tutti. Senza margine di errore. Sono tuoi. E' fatta. Immaginate la scena:  un adulto che ti guarda fisso, con tono autorevole, e ti fa una domanda così semplice da destabilizzarti . Basta incalzare con altre domande e, visto che sono spaventati, iniziano a riflettere su cosa stanno facendo.  Missione compiuta . La civiltà sta vincendo! E, se il comportamento fastidioso sparisce quando sono io sulla ciclabile, non posso dire lo stesso di quando arrivano a casa loro... ma, beh, questa è una storia per i genitori, no? Avete voluto la bicicletta... Ma soprattutto, non è più un problema mio! Sono già tornata a casa, al sicuro, lontana dai mocciosi e dal caos generale. Fratelli confusi E poi c’è stato un episodio che merita una menzione speciale:  una bicicletta , due fratelli. Camminavo tranquillamente sulla parte pedonale della pista ciclabile (per l'appunto pedonale , non ciclabile) All’improvviso, sento il fiato sul collo, e dietro di me c'erano due bambini in modalità “pistola” - uno sulla bici e l’altra sui pattini, praticamente incollata al primo.  Nulla di particolarmente grave se non fosse che, avere dei Vichinghi che ti passano sui piedi (e zampe) non è il mio concetto di passeggiata rilassante. E quindi, con un tono che avrei dovuto far studiare ai migliori insegnanti di yoga per la calma, esco con un bel “FERMI!” I bambini inchiodano, ma con facce di puro stupore, non sapendo se stanno per ricevere un rimprovero o un abbraccio. Io continuo, imperterrita, a colpire nel segno: "Tu sulla bicicletta, come ti chiami?" "Matteo" “Ecco Matteo, ora scendi dalla bicicletta e portala a piedi.” "O ti metti a pedalare sul lato ciclabile." "Ma li non ci posso andare, ho mia sorella dietro con i pattini" "Appunto. Quindi, non credi che pedalare tirandoti dietro tua sorella sui pattini sulla parte pedonale sia una pessima idea? Magari qualcuno inciampa e si fa male?" "Ah." Mentre parlavo con "Matteo" la sorella, completamente incurante di quanto detto, guarda i miei cani e chiede, con innocenza disarmante: “Come si chiamano?”. Io, “Martina e Nando”. “Ah, sono tutti e due maschi?” e io, con il sangue freddo che mi rimane: “Martina secondo te è un nome maschile o femminile?”. "Ah." Ah. Hanno detto Ah. La futura classe dirigente. Io sono rimasta sconvolta sulla totale assenza di ragionamento. Passi sul (non) senso del pericolo perchè hai 10 anni..ma su Martina se è un nome da maschio o da femmina non ce la posso fare!!! Per altro, almeno nel mio quartiere, metà delle bambine si chiamano Martina..non ci voleva proprio un ragionamento sofisticato no? Questo mi ha fatto riflettere tanto. Vuol dire che non metti in moto il cervello prima di parlare. Nada. Morto. Ah già vero, abbiamo un'intera classe politica col cervello in queste condizioni. Giusto. Comunque tornando agli infanti disadattati. Mi hanno seguito, portando la bici a mano, fino alla mia uscita della ciclabile tipo cagnolini (si esatto, dicevamo? Il capobranco..), ma non ho idea se i genitori passeggiassero dietro a noi..o ..va a capire. E non è la prima volta in cui ho notato un totale disinteresse da parte dei genitori. Una volta, sempre sulla ciclabile, mi sono mangiata uno per uno, quattro bambini per aver tirato una bottiglia di vetro contro il muro. Li ho ridotti un pizzico. E anche lì i genitori, poco più in là seduti sulla panchina, non hanno fatto mezzo fiato. Voglio dire, tu vedi una pazza, adulta, che inveisce contro tuo figlio e neanche ti alzi per vedere cosa sta succedendo? Non per fare stupide similitudini, ma se qualcuno si avvicinasse così ai mie cani, sparerei a vista. In ogni caso, l’obiettivo del mio approccio severo? Farli riflettere.   Spero che nella loro testa, la memoria della “matta del quartiere” che li ha fermati sulla ciclabile, rimanga lì, ben piantata. E magari,  solo magari , inizieranno a pensare un po' prima di agire. Del resto, è quello che faccio con i miei cani. Li metto in condizione di ragionare. Perché diciamocelo, senza quei momenti sfidanti in cui devi risolvere qualcosa, che noia sarebbe la loro vita... e anche la mia! No?

  • L’Idra a tre teste : Signore e Signori, la menopausa.

    Che delizioso fenomeno... Sì, decisamente un argomento femminile. Ma, attenzione, potrebbe rivelarsi una lettura   utile  per quei poveri consorti che, ogni notte, si trovano a dormire con una creatura mitologica che all’anagrafe è ancora sua moglie.  Poveretti . Eh si perchè di questo si tratta. Creatura mitologica dalle sembianze familiari ma pronta a divorarti in un battito di ciglia. E no, non pensate di risolvere con qualche dardo narcotizzante , non è la soluzione. Avete già pensato a questa opzione, vero?  Rassegnatevi, non è praticabile. Soluzioni? Non ci sono. Solo speranza che passi la fase acuta, con la consapevolezza che quella giovane donna, che avevate deciso di portare all’altare per il resto dei vostri giorni, è ormai  scomparsa . Inghiottita in un vortice di  ormoni impazziti , che tra un colpo di scena e l’altro, ti chiedi se non stia per scatenare un’altra guerra mondiale. Possibile. Questi benedetti ormoni.  Diciamocelo chiaramente, rompono proprio. Sono come quelle persone fastidiose che ti toccano in continuazione mentre ti parlano. A cui però non puoi dire nulla perchè, vuole il caso, siano figlio/marito/fratello di qualcuno, che no, non si può proprio rischiare di offendere. E così ce li teniamo, e zitti. Uff. Arrampichiamoci. Dal momento esatto in cui diventi "signorina" (sì, ai nostri tempi si diceva così), te ne accorgi subito che la strada non sarà facile. Sarà  tutta in salita . Con ostacoli, trabocchetti, lavori in corso e zanzare che ti pungono dove non vorresti.  Un'enorme strada in salita. Ti diventa chiaro subito. Tra sindrome premestruale, ovulazione e ciclo, in pratica  ci si sente al massimo delle proprie facoltà solo tre giorni al mese . Tre splendidi giorni di  spensieratezza , quando il mondo sembra finalmente un posto decente e noi non siamo in preda a mille ormoni impazziti. Beh,  è poco , no? A questo punto, credo che ci sia un  grosso difetto di fabbrica . Perché, se fosse stato progettato da un ingegnere, chiunque sarebbe finito fuori dal laboratorio a calci. Tre giorni al mese? Mi sembra proprio una scarsa performance da parte di chi ci ha creato. Il circo Barnum. Arriva un giorno, però, in cui il ciclo sparisce. Ma non fatevi strane illusioni: finisce quello e inizia  il circo Barnum. Con tanto di  fenomeni da baraccone  che trasformano la tua vita in uno spettacolo da fiera, dove tu, povera innocente, sei il numero principale. Non c’è più spazio per la normalità: ogni giorno è una  scenetta tragicomica  con tanto di  acrobazie emotive e una folla che ti osserva con aria di compiacimento. Un vero e proprio  assolo... E indovina un po’? Non hai nemmeno scelto tu il copione. Lo devi recitare e basta. Fine degli argomenti. Dividiamolo per fasi, va'.. Fase numero 1 : Le vampate Ma non c’era un altro modo? No perchè questo è davvero crudele! Immaginate (voi uomini intendo) di avere un nano invisibile (per rimanere collegati al circo, ovviamente) che accompagna le vostre giornate. E che ogni due per tre, aziona un mastodontico ferro vapore sulla vostra schiena.  Matte risate, vero? Per non parlare della notte, quando ti svegli fradicia come se fossi in una vacanza perenne in Malesia. O di quando la faccia si accende come un falò di Ferragosto, e le  perline di sudore  iniziano a scorrere sul labbro superiore.  Un sogno . Ecco, a tal proposito, ho avuto la fortuna (se così si può chiamare) di vivere una  menopausa chimica  in giovane età. Al tempo, lavoravo con una collega inglese, la quale, ogni volta che avevo una vampata,  urlava : “Mikky, sstai avendo una! Sei tdivendada werrrde!” Immaginate quanto tranquillizzante fosse. Grazie Rachel, ora mi sento davvero meglio. Comunque, tutto ciò mi ha preparato (un po') al fatidico momento. Si, ha aiutato. Però. Mamma mia. Anche no. Fase numero 2 : Gli sbalzi d’umore Ho potuto notare inoltre, che a differenza della mia esperienza pregressa, questa volta, quella del momento inevitabile , ad accompagnare le vampate si sono presentati anche gli sbalzi d’umore. Ah, si si, carini carini, precisi precisi, come imbucati a una festa privata. Sei lì tranquilla e, all’improvviso, esplodi come una pentola a pressione.  Senti i capelli sollevarsi da quanto sei arrabbiata  e hai solo due opzioni: o fai la scenata, o ti distrai guardando una serie TV in loop. Io, personalmente, ho scelto la seconda. Ma avrei preso a ceffoni, molta della gente intorno a me. Ma molta eh? Non l’ho fatto tranquilli. Almeno non fisicamente. Verbalmente magari….beh vabbè ..che importa ormai? Quindi all’attivo abbiamo : vampate, sbalzi d’umore. Ottimo. Fase numero 3 : Lacrime irrefrenabili No, davvero.  Sono ir-re-fre-na-bi-li.  Arrivano all’improvviso, quando meno te lo aspetti, per QUALSIASI motivo. Anche la cosa più scema. Una pubblicità con una musica un po’ più enfatica, l’inno nazionale (mica solo il nostro, tutti gli inni), un video su Instagram, un ricordo, insomma la qualunque. Questo è il motivo per cui non sono riuscita a vedere l’incoronazione di Re Carlo III.  Non ci sono riuscita, nonostante l’avessi registrata per non perdermi nulla. Macché, dopo un minuto, la solennità dell’evento mi faceva piangere signori lacrimoni. Che diventavano singhiozzi, che diventavano convulsi  e non mi facevano più vedere e sentire nulla. Ergo, sono rimasta esclusa da un pezzo di storia che si consumava sotto i miei stessi occhi.  Maledetti ormoni. Che poi sto fatto delle lacrime, mica si ferma qua eh?  No. Perchè se da una parte sei infastidita da questa “emotività” dall’altra la cerchi. Perchè vuoi o non vuoi, è una valvola di sfogo.  Sapeste quante telefonate con le mie amiche il cui tono era: “Si, ho messo la pubblicità “tal de tali” di proposito, così mi sono fatta quel pianterello che da giorni non mi riusciva.” A che punto siamo, eh? Ricapitolando. All’attivo abbiamo : vampate, sbalzi d’umore, lacrime. Sempre meglio. Fase numero 4: Pelle secca e tette grosse Ah, la bellezza. Non solo la pelle che  diventa sabbia  e i capelli che sembrano  paglia , ma anche un piccolo  grosso dettaglio: le tette. Che, grazie ai bei cambiamenti ormonali, sembrano aver preso una nuova carta d'identità. Se prima l'altezza dichiarata era 1,68 ora come minimo è 1,75. Ohi, carine siete impazzite? Non mi risulta abbiate capacità di libero arbitrio. Che palle.  E' come svegliarsi una mattina e ritrovarsi bionda naturale quando sei stata sempre mora.  Io le tette non le ho mai avuto e adesso ne sento l'ingombro? Ma dai su, siamo seri. Non sono io QUELLA. No. E i chili che aumentano per motivi misteriosi sono l’ accessorio in più  che fa da corredo a questo fantastico momento. Tipo coroncina di diamanti sulla testa della reginetta del ballo. Quindi, se sommati alle rughe, alla presbiopia, alle vampate, agli sbalzi d’umore, alle lacrime…beh, mi sembra proprio si stia delineando la genesi dell’Idra a tre teste. Signori uomini, vi ricordo che uccidere l'Idra costituì la seconda fatica di Ercole. No, così per dire... In definitiva la menopausa, è come un’epopea greca . Ci si prepara, si affronta, e poi alla fine ti chiedi: “E ora cosa succede?” Sì, è vero, non ci sono soluzioni facili, e a volte sembra di essere intrappolate in una versione distorta di un film horror. Ma il bello è che, in qualche modo, la vita continua. Le vampate vanno e vengono, gli sbalzi d’umore diventano più gestibili, le lacrime magari se ne vanno (no see, non mi pare proprio..) e le tette grosse si rimpiccioliscono (speriamo). Comunque sia, ci dobbiamo rassegnare. Alla fine, siamo tutte un po’ Idre. Ma almeno, in buona compagnia. Delle nostre 12 personalità, intendo. Armatura sbagliata E, cari uomini,  sappiate che anche voi siete parte di questa epica . Sì, lo so, non vi abbiamo mai davvero preparato a questo momento (ma, se è per questo, neanche noi eravamo pronte, quindi, come si suol dire...mal comune.......). Per voi, ogni volta che  aprite la porta di casa , è un po’ come entrare in un  campo di battaglia  senza sapere se vi aspetta una  bomba di lacrime  o una  carezza all’improvviso . Un po’ come giocare alla roulette   russa ogni giorno. Nulla di personale, eh? È solo la magica magia della  menopausa  che trasforma ogni nostra giornata in un’avventura imprevedibile. (Che spesso finisce a schifio, ma che importa!) E voi, poveri eroi, non siete nemmeno equipaggiati con l’armatura giusta… pazienza. Ognuno si porta dietro la propria croce...no?

  • "Dai Pidocchi a Capitan Harlock: Come ho imparato a vivere senza Multiversi"

    I cartoni Per noi bambini della fine degli anni '70, i manga erano Goldrake, Jeeg Robot, Candy Candy, Lady Oscar, e Capitan Harlock che, sì, andava in onda tutti i pomeriggi su Rai uno. Ma ora li chiameremmo  Anime , perché sono la versione animata di qualcosa che, all'epoca, non avevamo nemmeno il termine giusto per definire. Ma chi se ne frega! Noi li chiamavamo semplicemente  "i cartoni" , punto e basta. Quanto fremevo per vederli! Quella sensazione di attesa era il nostro Super Bowl. Crisi mistica Mi ricordo benissimo il giorno in cui hanno eletto Giovanni Paolo II. Io ero a casa, da giorni, con i pidocchi. Una gioia, matte risate proprio. Non potevo uscire, non potevo andare a scuola… niente. L’unica cosa che mi dava un minimo di speranza era sapere che alle 17.20 su Rai 1 sarebbe partita la nuova puntata di Capitan Harlock. E ovviamente… che succede? La fumata bianca arriva ore dopo! Non credo di avergli mai perdonato questa roba. Già, la storia della fede, ma per me l’unica fede che avevo era quella nell’inizio dei cartoni! Ma che manga e manga! Tornando ai cartoni, i manga – che poi, nel 1978, nemmeno sapevamo che si chiamassero così – ci piacevano tanto. Perché, lo ammetto, la caratteristica di questo tipo di forma narrativa è unica. Riesce a creare una connessione emotiva forte, quasi immediata. È come una botta di adrenalina visiva che ti immerge nell’azione in un batter d'occhio. E ti fa entrare nella testa del protagonista (che, solitamente, è uno ed uno solo, ed è anche in grado di risolvere il problema dell’universo). E la cosa bella è che la storia finisce. La fine! Una cosa che oggi suona quasi come un errore di ortografia. Perché ai tempi nostri, c'era un inizio, uno sviluppo e una conclusione. Ora siamo in pieno  Multiverso Marvel , dove le cose non finiscono mai, i personaggi tornano in vita non si sa bene come, ma soprattutto perchè ,e il tempo non ha più senso. The End Ecco, quando eravamo bambini, il fatto che la storia finisse  era educazione . Ti insegnava che le cose finiscono. Che, in qualche modo, c'è un ordine naturale. Che la fine non è la fine del mondo, ma solo una parte del ciclo. Non si può continuare a vivere come se “tutto è possibile”, perché no, spoiler alert, non lo è. E comunque, scusate, ma “tutto è possibile” mi sembra più un clistere di ansia universale che un concetto sano. Parlando di manga non entrerò nel dettaglio di tutte le categorie, perché ci sono migliaia di generi e analizzarli sarebbe impossibile. E poi, detto tra noi, mi interessa il giusto. Però una cosa la so. I lettori di manga, sembrano essere tutti  "unti dal signore",  convinti che il loro amore per questa tipologia sia una missione divina. Se osi parlare male di un manga,  preparati a finire bruciata nel rogo degli eretici e non sto scherzando. C’è un  culto intorno a certi manga che nemmeno i più devoti seguaci di qualche religione strana. Perciò, per  evitare un linciaggio  e un processo pubblico da parte dei paladini della sacra lettura, preferisco restare sul vago. Mi limiterò a dire qualcosa di  superficiale , ossia lo stile grafico UNICO. Questione di....stile Lo stile grafico è talmente distintivo che basta una vignetta per riconoscerli. Ragazzi con corpi da "mangio una foglia al giorno, e sto bene con me stesso", occhi grandi come piattini, nasi che non si vedono nemmeno (che regalano un'espressione veramente poco accattivante), bocche che si aprono solo per mangiare sushi o per sbadigliare, capelli lunghi e setosi, come quelli di una pubblicità di un balsamo negli anni '70. Ecco…quindi come faccio a capire se questo è un maschio?(lo dico riferito alla storia, se non capisco subito il personaggio chi è , faccio fatica a comprenderne lo sviluppo). Buona domanda. Poi, riflettendo… ogni generazione ha i suoi eroi, giusto? Ogni epoca ha i suoi modelli, giusto? Ma qui c’è una questione che mi lascia perplessa:  questo modello asessuato è diventato un dogma accettato . Le ragazze manga, va bene, sono super femminili, tipo "pupa perfetta", ma poi te le ritrovi innamorate degli efebi. Eh no! Dove è finito il buon vecchio Mr Darcy, con il caratteraccio e il cuore grande come una casa? Lizzy, fai qualcosa! Jane Austen , si sta rivoltando nella tomba. La vedo. Sciocchezze? Comunque, tornando al nostro discorso. Questa storia del "fumetto manga" in realtà non è proprio una stupidaggine, come sembra a prima vista. Incontrando le nuove generazioni, vi sarà sicuramente successo di sentirli dire "sono fluido". Ecco, la prima volta che l’ho sentito, pensavo fosse una di quelle frasi tipo "vado al negozio di abbigliamento, ma sono fluido, capito?", come se stessero cercando di dirmi che la loro personalità si adattasse al contesto. Tipo, sono abbastanza elastici da rispondere al mood della giornata. Pensavo: "Ok, figo, ti adatti, sei come un camaleonte sociale". Poi, dopo una rapida ricerca su Google (perché ovviamente, sono sempre l'ultima a sapere le cose), ho capito che no, fluido non significa 'camaleonte' ma " sentirsi a volte uomo, a volte donna, a volte neutro . ". Ecco, il concetto di "fluido" è più un  gioco di identità  che una questione di adattamento a un’uscita al pub. Ok, ma "neutro"… ma che è, un deodorante? È l’evoluzione della specie o è il futuro dell’indifferenza? Libertà, sì, ma con il rischio che domani ti alzi e ti chiedi "Ma oggi chi sono, veramente?" E non parliamo del dramma che può scatenare questa fluidità all’interno di una conversazione banale: - Scusa, ti va di uscire con me stasera?- -No, oggi sono neutro, non ho alcun interesse in te. Magari tra una settimana..o due..?- Non vorrei essere nei panni del CEO di Tinder..sai che fatica a fare i match giusti? Lungi da me l'idea di giudicare, però ogni tanto mi viene da pensare: " se questa è l’evoluzione, beh… il mondo ha una scadenza prossima, come lo yogurt biologico nel mio frigo." Conclusioni Mi chiedo, quindi :  chi è nato prima, l’uovo o la gallina? Sono stati i manga a lanciare questo modello asessuato, o sono stati i ragazzi a farsi plasmare e il mondo dei manga si è piegato ai loro gusti? Non lo so, ma secondo me la risposta è la prima. I manga, infatti, sono sempre stati così. Riconoscibili, e diversi da noi "occidentali" intendo. Noi, però, non ci avevamo fatto molto caso, perché eravamo troppo occupati a cercare di non cadere mentre il mondo ci cambiava sotto i piedi tipo  un terremoto di novità,  che non ci dava nemmeno il tempo di metterci le scarpe. Ma i "nuovi", oh sì, loro sì che se lo sono preso tutto, questo........cambiamento culturale..lo vogliamo chiamare così? Sì, sì tutto il pacchetto, Limited Edition inclusa!   Chapeau, ragazzi. Però, riflettendoci, se avessimo adottato noi il modello manga, oggi saremmo tutti con un’alabarda spaziale in mano, tipo Goldrake. Magari!

  • La sindrome del telefono a gettoni.

    Il telefono a gettoni. Ve lo ricordate? Che meraviglia. Io avevo quella cabina telefonica sotto casa, nella piazzetta, che sembrava il set di una sitcom anni '80. Ogni pomeriggio, dopo aver finito i compiti, io e le mie amiche ci trovavamo lì, come in un salotto di una nonna che ti sforna torte appena fatte. Solo che al posto di torte c'era quell'odore pungente di plastica grigia. Avete presente, no? Quella plastica che, per qualche misteriosa ragione, aveva un odore unico, diverso da qualsiasi altra plastica, tipo una fragranza esclusiva della SIP. E così, armate di gettoni, chiamavamo. Chiamavamo le amiche a casa, facevamo scherzi telefonici, chiamavamo il povero malcapitato che ci piaceva… Insomma, il cellulare non esisteva, e dovevamo pur fare qualcosa, no? Da lì è iniziata la fine del mondo, ma non ve lo dico adesso… La riflessione? Ah, il cellulare... Grandissima invenzione, eh? Un colpo di genio. Fighissimo per tutte quelle cose di cui non avremmo mai saputo fare a meno. Una manna dal cielo. Peccato che sia anche il male, in un certo senso. Vediamo: il cellulare, inizialmente, era comodo. Non dovevi più procurarti i gettoni (che poi, che fastidio, quei maledetti gettoni che non entravano mai nel buco giusto?). Non dovevi vagare in cerca di una cabina telefonica funzionante. Un sogno, giusto? Ma poi, voilà, arriva internet, e con lui la grande farsa.Da quel momento in poi, la nostra vita si è trasformata nella velocità di un razzo missile di Goldrake (ma senza il fascino del cartone animato). Internet ci ha schiavizzati. E noi, schiavi, siamo diventati atomi che schizzano alla velocità della luce. Tanta è la sollecitazione a cui siamo sottoposti che ogni tanto ci dimentichiamo di fermarci per respirare. Parliamo di lavoro per un secondo… Le e-mail, ragazzi . Le maledette e-mail. Lo strumento di comunicazione più istantaneo che l'uomo abbia mai creato. Perfetto per mandare informazioni in un battito di ciglia. Peccato che abbia introdotto una piccola ansia cosmica. Perché chi riceve una mail, subito si sente costretto a rispondere nel tempo di un nanosecondo. E se non lo fa, ecco che scatta l'ansia del "Perché non mi ha risposto subito?!". E così, via con il ciclo infinito: una mail tira l’altra, e ci ritroviamo a fine giornata con una montagna di messaggi. Un po' come WhatsApp, che non ti molla come un pitbull che non ha mai mangiato… insomma, una costante sollecitazione! Ma il vero problema non è tanto il mezzo, quanto la  sostanza . E qui arriva il bello. Il vero danno che la tecnologia ha fatto è nella percezione del tempo. Ora il nostro tempo è misurato in nanosecondi, e chi non riesce a rispettarli rischia di finire su un altro pianeta. La velocità è diventata la norma, e nessuno ha più il tempo di prendersi una pausa. C'è questa frenesia, e io dico, lo dico alla romana che rende di più : ma che te corri? Ricordo che 15 anni fa, a parità di lavoro svolto fino a due anni fa, sembrava che il tempo fosse un altro. A fine giornata, avevo tempo per corsi, hobby, e la mia famosa giornata di sabato non era una staffetta tra pulizie, spesa, parrucchiere e tintoria… era l’inizio di due giorni di relax! Ma ora, col cellulare e Internet, il relax è diventato un concetto alieno. Ma alieno alieno. Non sappiamo più come si usa 'sto "Relax." Colpa di Internet? Sicuramente. Internet ti fa sentire che tutto deve essere immediato, pronto subito, come un "click" e via. E tutto questo non ha fatto altro che aumentare le nostre nevrosi. La velocità è aumentata a livelli insostenibili. I rapporti umani? Difficili da gestire, quando si ha il cervello sotto stress, schizzato a mille all’ora, cercando di stare al passo con tutti. E, parliamo di me… Prima di trasferirmi in campagna (due anni fa, eh), ero un vero animale da città. Vivere nel mio quartiere, con tutto a portata di mano, mi rendeva quasi un supereroe. E, odiavo la gente. Sì, l’odiavo. Ogni santo giorno, durante la passeggiata con i cani, alle 7.30 del mattino (figuratevi come arrivavo alla sera..) avevo già mandato a quel paese almeno cinque persone… altri padroni di cani che, scusate, ma non avrebbero saputo gestire nemmeno un cucciolo di plastica trovato nell’ovetto Kinder. Ma questo è un altro capitolo. Ma la vera domanda è: Perché corriamo? Dove diavolo dobbiamo andare? Quando c’erano i gettoni, tutto questo poteva far parte solo di un brutto film distopico su un futuro improbabile…invece…… Invece niente..mi sogno la cabina del telefono e un bel gettone rosso.

  • "Però 'sti giovani, eh? La fuga dalla schiavitù del lavoro… benvenuti negli 'Youth Nursing Home'"

    Ma che sono? Ah, ragazzi, ho appena avuto la conferma che, forse, non sono proprio completamente una visionaria. O forse sì, vabbè, non è questo il punto. Vi racconto: ho appena letto un articolo su un fenomeno che sta prendendo piede in Cina come fosse l'ultimo trend di TikTok, e si chiama "Youth Hospice". In pratica, la Gen Z e i Millennial , schiacciati dalla pressione di lavori sottopagati, affitti da urlo e una sensazione perenne di non vedere nemmeno una misera luce in fondo al tunnel, hanno deciso..beh.....di... arredarlo. Sì, avete capito bene: invece di scappare, hanno deciso di ristrutturare il tunnel, metterci dei bei tappeti, qualche pianta, e vivere lì. Un po' come dire: "Se devo restare qui, almeno che sia confortevole!" "Youth Nursing Home" E così si ritirano (temporaneamente, ovviamente) nelle Youth Nursing Home. L’ospizio dei giovani. Geniale, no? Ah, e giusto per aggiungere un po’ di pepe, queste strutture non solo costano meno di un micro appartamento in affitto, ma sono anche situate in posti talmente bucolici che sembrano uscite da una pubblicità di tè alle erbe. Lì, tra passeggiate nel verde e respiri di aria fresca, si fanno delle pause dal martellamento del sistema capitalista (che ormai ci stritola come una lavatrice impazzita). E mentre il mondo continua a girare come la canzone "You spin me round (like a record) " dei Dead or Alive (n.d.r.), questi "rivoluzionari di oggi" si dedicano a hobby tipo scrivere copioni, cantare, coccolare animali e giocare a giochi da tavola in gruppo, per non diventare completamente alienati. Un bel "fuggire dalla realtà" salutare, insomma. Terapia anti-capitalismo Tentano di scardinare i meccanismi tossici e super-consolidati del concetto di lavoro, quelli che ormai sembrano scritti su pietra, come se fossero leggi universali. Lavorare fino a non ricordarsi più nemmeno il proprio nome? La normalità. Il burnout? Ah, quello è ormai quasi un distintivo di onore, come un trofeo da esibire sui social. Pare, sempre secondo l’articolo (che a quanto pare è sempre l’unica cosa che ci fa ancora sentire informati), che alcuni di loro abbiano descritto questa esperienza come una sorta di cura miracolosa , un po’ tipo la "spa mentale" che tutti sogniamo ma non abbiamo mai il tempo di fare. Insomma, il burnout ha perso tutto il suo fascino , che sinceramente non aveva nemmeno mai avuto (forse solo tra gli Avengers che non dormono mai). E loro, questi paladini della tranquillità, hanno capito che concedersi del tempo libero non è da egoisti o scansafatiche, ma è praticamente un atto di sopravvivenza. Perché, e qui arriva il colpo di genio, ti permette di ricaricarti e tornare a lavorare non come una macchina a cui hanno tolto la batteria , ma come una versione più zen e produttiva di te stesso. Non male, no? Infatti, molti di loro sono tornati alla frenesia lavorativa con una motivazione rinnovata, come se avessero finalmente trovato la chiave del successo … e del buon sonno! E si sono ripromessi di staccare più spesso, perché hanno finalmente capito che l’equilibrio esiste, ma bisogna smettere di correre dietro alla rabbia e alla produttività a tutti i costi per trovarlo. Buona fortuna, ragazzi! Avete capito una cosa che noi, onestamente, abbiamo capito un po' tardi. E qui arriva il bello. Noi, la Gen X, siamo rimasti incastrati tra i sensi di colpa impiantati con un martello, che ci dicono che se non lavori 46 ore al giorno sei un imbranato buono a nulla, e sintomi di burnout che ti fanno venire ogni tipo di male. Ogni tipo. Ma anche "noi", Gen X, avevamo provato a fare qualcosa di simile. Subito dopo il COVID. Dopo la pandemia, infatti, è esploso un fenomeno globale chiamato YOLO (You Only Live Once, ma sarebbe meglio tradurlo in: "Chi se ne frega, tanto si vive una volta sola"). Una marea di cinquantenni ha deciso che non era più il caso di farsi inghiottire dalla routine del lavoro e si è licenziata per inseguire sogni e passioni dimenticate, come se all’improvviso avessero scoperto di avere una vita da riappropriarsi. D’altronde, l'unica cosa buona che la pandemia ci ha regalato è stato un bel fermo treno, che ci ha costretti a guardare fuori dal finestrino e a ricordarci che, ehi, c'era anche una vita che non avevamo più notato! Quindi, sinceramente, posso solo applaudire allo spirito YOLO . Bravi. Peccato, però, che di questi cinquantenni, non se ne ha più notizia . Si saranno persi nella giungla della ricerca della felicità, probabilmente. Comunque sia, io questa storia degli “Ospizi per giovani” la trovo molto interessante. E, strano a dirsi, mi fa sentire anche un po’ orgogliosa. Per chi di voi l’ha letto, c’è un mio articolo in cui dicevo che la Gen X è composta da pionieri senza follower. Ovvero, ci siamo trovati catapultati in un mondo che cambiava troppo velocemente , senza aver preparato il terreno per le generazioni future, senza dar loro soluzioni, tipo "Ecco, ragazzi, fate come noi". Ma forse non è proprio così. Se questi giovani hanno capito che continuare a vivere come facciamo noi, li avrebbe solo portati a una vita di frustrazione e insoddisfazione, probabilmente si sono detti qualcosa tipo: "Non so cosa voglio dalla vita, ma so esattamente cosa NON voglio: vivere come loro." (Loro, siamo noi, ovviamente). Beh, se così fosse, anche se non è proprio l’esempio che uno si augura di mostrare alle nuove leve, devo ammettere che... ha fatto centro! Loro lo stanno cambiando , il mondo. Sarà un ritorno al futuro?

  • Meno male che c'era John Snow

    Ok, adesso che finalmente abbiamo rotto il ghiaccio, parliamo di serie TV. Si si d'accordo, ho 50 anni. Ma dentro mi sento ancora quella ragazza che guardava  The Goonies  pensando che, prima o poi, sarebbe riuscita a trovare un tesoro nascosto nel sottoscala. Oggi, invece di fare acrobazie, mi accontento di una discesa elegante dal divano (che, diciamolo, è più una caduta che una mossa da circo) e di una lotta epica con il telecomando che sembra avere un personale rancore contro di me, ma la passione per le serie TV? Quella è intatta, come il mio talento nel procrastinare! Quindi, se pensate che una cinquantenne non possa essere una  seria  fan di  Stranger Things  o  Game of Thrones , preparatevi a ricredervi. Seasons Sì, perché io sono una "grande" appassionata… di quelle che quando finisce una stagione, va in lutto per una settimana. Parliamo di "romanticismo da divano", tipo che mi affeziono talmente tanto ai protagonisti che, quando finisco, non riesco ad iniziare una nuova serie. È come se tutti gli altri personaggi fossero... beh, degli squallidi sostituti! Li guardo e dico: "Tu NON sei lui! NON sei lei! Ma che vuoi da me, sciocco?" E mi tocca decantare qualche giorno di "solitudine televisiva" prima di trovare il mio nuovo amore. Ok, sarà che sono un po' melodrammatica… oppure, ditemi voi, anche voi vi trovate a fare il tifo per personaggi che non esistono? Dai, confesso: mi lascio coinvolgere da questi eroi televisivi più di quanto dovrei. Ma a me questa cosa piace troppo, lo confesso! Never ending story Perché, in fondo, le serie TV sono l'ultima cosa che ci tiene attaccati al mondo fantastico di quando eravamo bambini o ragazzi. Il mondo in cui le emozioni stratosferiche arrivavano dai libri o dai primi film con "effetti speciali", che ci lasciavano increduli e con gli occhi spalancati, tipo "ma come cavolo hanno fatto a far volare quel razzo?!" E poi c’era Star Wars ... L'ho visto 12 volte. Sì, 12. Non è un numero tirato a caso. È reale. 12. Perché, quando ero una giovane pioniera senza social, ho avuto la fortuna di essere tra le prime ad avere un videoregistratore VHS. E sapete come funziona: papà lo usava per lavoro e lo trattava come se fosse un oracolo (vi immaginate, io che avevo il mio film preferito in quella macchina magica, "profetizzando" su quante volte potessi guardarlo?). Ecco, come sono arrivate le 12 visioni. Comunque, tornando alle serie TV. Sono l'ultimo legame che ho con la me ragazza, quella che sognava mondi lontani, che si emozionava guardando un episodio e si sentiva parte di un'avventura epica. E sì, è una figata cosmica, perché, e lo dico ad alta voce, "voglio emozionarmi ancora così". Ogni sera è un viaggio. Ogni sera mi fiondo sul divano con quella sensazione di piacere infinito : "Wow, è ora di vivere un'altra vita, di essere lì con loro!" Ah! A proposito di "essere lì con loro", vi racconto un aneddoto che non dimenticherò mai. Anni fa, in piena stagione "Game of Thrones" , c'era un rituale sacro tra me, i miei due sacri amici – Baba e Gc – e i miei sacri cani. Ottobre, Roma. Le famose ottobrate romane, con quel caldo che ti fa pensare che qualcuno stia usando un phon gigante sopra la città e con qualche ape un po' troppo disorientata e decisamente troppo confusa. Mentre eravamo totalmente assorbiti da una sanguinosa battaglia, dove John Snow era seppellito sotto una montagna di corpi e sangue, il mio cane decide di masticare l’ape confusa. Tempo due minuti: edema facciale. Tempo cinque minuti: io, Baba, Gc, i cani, tutti in macchina, destinazione pronto soccorso veterinario. E qui arriva la parte epica. Arriviamo, scendiamo e facciamo irruzione come se fossimo un gruppo di Ussari in guerra, e chi ci apre la porta , con la faccia da "ma chi sono questi pazzi"?? **John Snow**. E vi giuro, era identico a lui. Non solo un po'. IDENTICO. Una stampa e una figura , come direbbe Montalbano. Io e Baba ci guardiamo, sconvolte, pensando di essere finite in una dimensione parallela. In un multiverso strano, non so, non poteva essere reale. No no, era tutto vero. Il nostro John Snow in carne e ossa stava proprio davanti a noi! E sapete cosa? Dopo qualche minuto, tra le punture e il rassicurante "Ehi, il cane ce la fa", John Snow si è guadagnato un posto nel mio cuore (momentaneo, eh! Non divaghiamo…). E chi se lo aspettava che la magia della TV ci colpisse nella realtà?! Chi, se non una fanatica delle serie come me, avrebbe potuto notare la somiglianza e perdere un po' di tempo a farsi delle domande filosofiche tipo "Esiste il vero John Snow?". Insomma, ci sono tante persone che avrebbero visto solo un veterinario un po' assonnato . Noi, invece, ci siamo trovate davanti un personaggio appena uscito dal nostro mondo fantastico. E credetemi, quella magia... beh, ci ha strappato un sorriso proprio nel momento in cui, ammettiamolo, eravamo lontane anni luce da un picnic rilassante sull'erba! W John Snow.

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